“BRAVO E BELLO!”

Nicola Girau

Alla Notte dei Poeti ieri sera, è andato in scena uno dei nomi di punta del ricco cartellone offerto: Alessandro Preziosi porta a Nora in prima assoluta nazionale il suo “Otello, dalla parte di Cassio” accompagnato dalla brava pianista Rebecca Woolcock.
Ed è proprio il caso di dire che va in scena il nome ben prima dell’opera, e con lui il suo bel viso, l’abbagliante occhio ceruleo, la fisicità e il fascino tutto del famoso attore napoletano.
Almeno a giudicare dalla palpitante e malcelata fibrillazione che si respirava nei giorni prima della prima, va da sé tutta al femminile, a cui si associava un certo orgoglio maschile che si approcciava all’evento con fiero distacco (mah…si, vediamo se è ANCHE bravo) e qualche battuta.
Questa la premessa intorno al nome di Alessandro Preziosi, ampiamente preceduto dai suoi riconosciuti meriti di fama e beltà, al punto da rendere a tratti quasi secondario l’Otello, Cassio, Iago, Desdemona e tutto il cucuzzaro shakespeariano.
Che poi trattandosi del “dramma della gelosia” non ci stava neanche tanto male.
A Nora finalmente si respira un po’, il maestrale ha spazzato via quella cappa di umidità appiccicosa, la torre gode della miglior visibilità in tutta la sua discreta imponenza, e intuisci il pienone dalla fila per staccare i biglietti e dal fatto che hai dovuto parcheggiare in Thailandia.
“Casualmente” sono l’ultimo (almeno fra i nottambuli), cosa che provoca un momento di imbarazzo sul dove mettermi. Entro, e il teatro è gremito di spettatori molto più vitali e sorridenti rispetto a quelli degli altri spettacoli, complice il clima decisamente più confortevole, c’è pure Piergiorgio Odifreddi che ha aperto il festival cinque giorni fa (l’avevo detto io che non è facile andarsene da questo posto) non si trova un posto libero neanche per scommessa (si vabbè ma io dove mi metto?), perfino i gabbiani hanno smesso di volare e si sono appollaiati in attesa sulle gradinate romane.
I minuti scorrono, un po’ di ritardo era prevedibile, del resto “l’attesa di un Preziosi è essa stessa preziosa” e se la tensione è insopportabile speriamo che duri, e ho pure finito le citazioni sceme, quando inizia? eccolo!
Finalmente compaiono sul palco Alessandro Preziosi e Rebecca Woolcock, e un secondo prima che inizi l’applauso un omone vicino a me urla scherzando con voce querula: “BRAVO E BELLO! …” come una comare, strappando non poche risate liberatorie tutto intorno.
Lo spettacolo può cominciare.
Preziosi davanti al leggìo ha la sicurezza dell’attore consumato, per me che l’avevo lasciato a “Vivere” e a “Elisa di Nonsocosa” devo ammettere che è stata una sorpresa, non lo conoscevo come attore teatrale e proprio su Shakespeare nel suo percorso si è misurato parecchio, con grandi successi di pubblico e critica. E si vede.
Non c’è grande fisicità nel suo eloquio, affida tutto alla voce, e la maestria con cui passa da un registro all’altro rendono evidenti l’alta scuola e l’esperienza di numerosi palchi anche a un profano come il sottoscritto.
Ora impersonando il perfido Iago con voce grave, ora le riflessioni di Cassio con timbro più vicino al proprio, ora la solennità di Otello con registro baritonale fino alla furia urlata, Preziosi gioca con le intonazioni e il ritmo, passa da toni alti civettuoli e cantilenanti alla profondità degli inferi dell’animo nel giro di mezzo secondo, facendo sfoggio di una grandissima padronanza dello “strumento” voce.
E’ bravo. Per i miei modesti parametri di giudizio sulle tecniche attoriali, è indiscutibilmente bravo.
Il testo è una rilettura dell’Otello dal punto di vista di Cassio, vittima e carnefice suo malgrado, ingannato dal diabolico Iago, strumentalizzato dalla sua invidia nell’intricato gioco di gelosie incrociate dell’opera shakespeariana.
La lettura di Preziosi non è un’impersonificazione alternata di questo o di quel personaggio, il caleidoscopio dei registri è nella narrazione, chi parla al pubblico è principalmente Cassio, con qualche citazione diretta dal testo originale.
Ne viene fuori un gioco di specchi, tra Cassio e Iago, tra Cassio e Cassio, ma soprattutto tra Cassio e Otello, dove l’immagine non è quella esteriore ma quella dell’anima. E in ogni anima, anche in quella di una vittima come in quella più innamorata, può albergare il male traghettato dai due peccati preferiti da Lucifero: lnvidia e Superbia.
Ad accompagnare la lettura di Alessandro Preziosi il piano di Rebecca Woolcock, impeccabile nell’esecuzione di Verdi e Rossini, i due più importanti interpreti dell’Otello in musica.
Negli intermezzi in cui il piano è da solo, con la torre dietro immersa nel blu e il volo radente dei gabbiani, si può solo essere contenti di essere lì, in quel momento.
Al netto della bravura tecnica, anche se qualche volta Preziosi incespica sul testo (niente di grave, si riprende immediatamente, è la prima del resto), e per quanto sia interessante la chiave interpretativa di un mostro sacro come l’Otello dal punto di vista di un “non protagonista”, a mio modesto parere lo spettacolo fatica ad arrivare come vorrebbe. L’emotività, le passioni, il turbine di anime e sangue creati dal genio di Shakespeare, filtrati da Cassio arrivano troppo pensati, troppo accompagnati, la sensazione è che non siano mai diretti pur facendone lui parte.
È come un racconto in differita che cerca di arrivare come diretta, da parte di uno dei protagonisti.
L’immediatezza emotiva non si avverte. Almeno secondo me.
A questo contribuisce anche il sentore che in parte si tratti di un bell’esercizio di stile costruito attorno all’attore, e potevo avere il dubbio che fosse solo un mio pregiudizio fino al bis.
Durante lo spettacolo continuavo a ripetermi “bravo è bravo ma si recita un pò addosso… ma forse sono io che vedo più la star dell’attore…”
Poi finisce lo spettacolo, applausi, rientro in scena e…
Alessandro Preziosi canta una canzone.
Ma perchè? Ma era necessario?
Si cimenta in un altro mostro sacro della musica leggera “Wicked Game” di Chris Isaak.
Niente chitarre languide, c’è solo la brava pianista, ed è l’ultimo dei problemi. Inizia a cantare, e sulle strofe è quasi credibile, poi arriva ai falsetti del ritornello e…semplicemente non ci sono i falsetti, torna alle parti gravi, quasi stona, si salva, insomma un’interpretazione sbilenca.
C’è da dire che Wicked Game è un brano molto difficile da interpretare, pochissimi anche tra i professionisti hanno retto il confronto. Ma la domanda è perchè se ne sentisse davvero il bisogno.
Più tardi, ci dirà nei camerini che ci teneva molto alla canzone perchè ha un testo molto vicino a quello della sua rappresentazione.
Per me, è stata la conferma del principale gravame su tutto lo spettacolo, prima durante e dopo. Un ego forse un pò troppo ingombrante dell’attore.
Magari sono pregiudizi legati alla star televisiva, magari non ho colto io, ma che sia per via orale o scritta succede sempre la stessa cosa: vuoi parlare dello spettacolo e inizi a parlare di Preziosi, poi parli di cosa è stato per te lo spettacolo, e la finisci a parlare di nuovo di Preziosi.
Ci sarà un motivo.