
Marcello Murru – Diavoli Storti
Marcello Murru – voce
Alessandro Gwis – pianoforte
Riccardo Manzi – chitarra
“Con una voce roca e amara rammenta grandi irregolari come Waits, Cohen, Conte… Come loro, narrando voglia e rabbia di vivere con la chiaroveggenza dei grandi outsider abbastanza estranei ai meccanismi del mondo da conoscerli più a fondo di tutti”. (C.G.Romana)
Il cantautore sardo Marcello Murru pubblica “Diavoli Storti”, il quinto album come solista dopo i Mondorhama. Il disco nasce dopo l’insolita esperienza sul set di “Amori che non sanno stare al mondo”, il film diretto da Francesca Comencini (Gomorra), in cui l’artista canta in un prezioso cameo la riedizione di “Testaccio”, il brano inciso 25 anni fa con la produzione di Lilli (Italo) Greco e la partecipazione del chitarrista Fausto Mesolella.
Scoperto dal produttore Italo Greco, mentre camminava solitario fra i viali della vecchia RCA, Marcello Murru, originario di Arbatax ma romano d’adozione, fa concerti raramente, ma le poche volte che accade il pubblico prima lo ascolta in silenzio, poi lo stordisce di applausi. Come è accaduto il 4 ottobre all’Auditorium di Roma, per lo spettacolo-omaggio a Leonard Cohen con Giancarlo de Cataldo. Il cantautore riesce a fare poesia anche giocando sul suo nome: “Ho un nome curvo sul dolore curvo sugli errori curvo sul cuore”.
Sul set del film di Francesca Comencini, grazie all’incontro con un gruppo di amici, ha preso forma l’idea del crowdfunding per la realizzazione dell’album “Diavoli Storti” (distribuito da Rea/ Edizioni Musicali), sostenuto con entusiasmo da giornalisti come Filippo Ceccarelli e Giuseppe Videtti (Repubblica), Elena Polidori (Repubblica), Mario Franco Cao (TG3), cui si aggiungono gli scrittori Giancarlo De Cataldo e Sandro Bonvissuto, il fotografo Babic e Francesca Comencini, che firma la regia del videoclip “Diavoli Storti” (il video vede anche la gratuita partecipazione del montatore Patrizio Marone e della regista Carlotta Cerquetti).
E ancora Silvia Resta (TG7), Irene Benassi (Agorà), i giornalisti Roberto Natale, Maria Zegarelli, Natalia Lombardo, Roberta Mocco (Rai 3), Enrico Giaretta (cantaviatore), Pierre Andre’ Bènazet, Paolo Lanzetta, Walter Murru e numerosi altri.
Il pianista Valerio Vigliar ha composto le musiche e curato gli arrangiamenti e la produzione dell’intero progetto.
Biografia
Marcello Murru nasce ad Arbatax, un piccolo paese della costa orientale della Sardegna. Si trasferisce a Roma a metà degli anni Settanta per gli studi universitari presso la facoltà di Scienze Politiche. Prende casa nel quartiere di Testaccio, un piccolo appartamento che sarebbe diventato la sua “tana d’artista”.
Ancora giovanissimo, viene notato dal regista Mario Ricci che lo sceglie per il suo Majakowski. In quegli stessi anni, nonostante i grandi incontri artistici con Perlini, Cobelli, Gassman e Schroeter, i suoi rapporti con il mondo del teatro diventano difficili, fino a una momentanea rottura.
Nel 1984 la RCA lo coinvolge nel progetto Mondorhama, un trio electro-pop d’avanguardia che si esibisce al Festival di Sanremo e pubblica un album ancor oggi ricercatissimo dai collezionisti.
Alla fine degli anni Ottanta, Murru lascia il trio e si riconcilia con il teatro: il regista Enrico Job lo sceglie per la parte di Giasone nella Medea di Heiner Müller tradotta da Saverio Vertone.
Nel 1992 esce “Murru”, il suo primo album come solista.
L’anno successivo partecipa al Festival della Canzone d’Autore di Recanati e al Time Zones di Bari. Una lunga malattia lo tiene lontano dalle scene, ma non dalla scrittura. Rientra sulle scene nel 1998, e da questo momento comincia una serie di prestigiose apparizioni live: da quella all’Expò di Lisbona a quella a “Il Violino e la Selce”, da quelle al Festival di Todi e di Giffoni fino a quella al Rocce Rosse Festival di Arbatax.
E’ il momento di “Arbatax” seconda “fatica” da solista, che esce nel 2002, a suggello e chiusura di una stagione lunga e travagliata, e precede di due anni “Bonora”, che segna un’avventura artistica tutta nuova.
Patty Pravo parla di Marcello Murru come uno dei grandi poeti della canzone italiana nella sua biografia “La Cambio io La Vita Che…” edita da Einaudi.
Il nome di Marcello Murru ritorna dopo qualche anno di silenzio per la sua apparizione nel meraviglioso film di Francesca Comencini “Amori che non sanno stare al mondo” dove canta il brano “Testaccio”.
GIANCARLO DE CATALDO SU MARCELLO MURRU E “DIAVOLI STORTI”
Racconta una fiaba persiana che un giorno un uomo incontrò un folle che parlava all’oceano. Gli andò vicino e gli chiese: che stai facendo? Pensi che l’oceano ti risponda? No, rispose il folle, gli recito delle poesie. E quando mi sarò stancato, o non ci sarò più, qualcun altro prenderà il mio posto. Vedi, amico mio, l’oceano è come una bestia feroce. Solo la poesia ha il potere di placarlo. Per questo deve sempre esserci qualcuno che lo tiene a freno con il verso. E quando non ci saranno più poeti, l’oceano ci sommergerà.
Quando ho conosciuto Marcello Murru ho pensato subito a lui come a quell’uomo davanti all’oceano. Mi era successo un’altra volta, in passato. Quando mi ero imbattuto in Leonard Cohen. Ecco. Marcello me lo ha ricordato tanto. Per quel suo sapersi destreggiare fra i registri sentimentale, erotico, ironico, fra la vita e la morte, fra la carne e la meditazione, fra il senso della trasgressione e quello della divinità. Per quella comune consapevolezza che la sconfitta è l’unica condizione autentica che è consegnata da un qualche dio bizzarro (o da chi per lui, pensatela come vi pare) a noi mortali. E che da come affronti la sconfitta si capisce se hai dentro di te qualcosa che ti rende degno, lirico, puro. Questo è Marcello Murru. Un poeta in musica che maneggia con l’oro e la maestria della parola cantata l’arte di navigare nella sconfitta. E, se vogliamo parlare di influenze, come non citare quella di un altro grande maestro, Paolo Conte: quanta sensualità delle vite disperate, nei versi di Murru! In questo suo disco maturo, succoso, ora dolente, ora sarcastico, con la complicità fra l’aspro e il suadente di Valerio Vigliar, ci offre l’esempio forse più completo della sua arte, attraverso nove brani nei quali ritorna, magnificamente definito, il suo mondo di sempre: quello di Attraversami il cuore e di Testaccio, per citare due pezzi, ancora bellissimi, di qualche anno fa.
Sì, c’è tutto Murru in questo disco. Ci sono tutte le sue ossessioni ricorrenti: la pioggia, la bellezza, certi giochi aguzzi di parole che ti riportano alla sua Sardegna… C’è quando piove sui vivi e sui morti, e su tutti i diavoli storti. C’è quando ci spiega che a volte anche il cielo fa degli errori imperdonabili. C’è perché è assolutamente vero che si vive in digitale e si muore in analogico, e un sottile dispiacere ogni giorno mi assale. C’è perché sappiamo che, sì, gli ultimi arriveranno primi, ma non sapranno che farsene. C’è perché si muovono tutti come naufraghi di una nave fantasma sulla riva di un mare tradito. Ci sono tanti altri Murru da scoprire. Qualcuno lui se lo nasconde, lo custodisce gelosamente. So solo che è difficile volare o farsi largo se soffri di vertigini, canta, e ogni abbandono ritrova il suo passo lungo un cammino di numeri. E l’oceano è placato. Ma, ripensandoci, perché poi dovremmo limitarci a tenerlo buono, l’oceano? Perché il nostro compito dovrebbe essere quello di imbrigliare la sua possanza, e non di scatenarla, invece? Forse l’oceano si annoia, e per questo serve un poeta, per tenerlo desto, non per addormentarlo. Per affascinarlo, cosa che a Marcello riesce benissimo. Perché il nostro cuore si unisca finalmente a quello grande e bizzarro delle onde, e, insieme, danzamos liberos.
Giancarlo De Cataldo