Buona la prima! – recensione semiseria dello spettacolo “Le Relazioni pericolose”

 

Nicola Girau

Nicola 39 anni cagliaritano, nottambulo di fatto (insonne militante dalla nascita). Interessato a tutte le forme di comunicazione, predilige la scrittura in ambito giornalistico ma considera il teatro e la parola pronunciata in scena una magia di cui il pubblico è parte, quasi un mistero su cui indagare e raccontare… oggi si mette alla prova con il racconto della sua  esperienza da spettatore appassionato sullo spettacolo di Piergiorgio Odifreddi e Irene Ivaldi “Le relazioni pericolose”

 

La notte dei poeti è appena cominciata, e già dal primo spettacolo ti da la sensazione di un posto dal quale non riesci ad andare via, potresti restarci finché non spunta il sole tra quelle rovine, col mare a cullare le parole e la torre che si staglia dietro gli artisti.
Tornare a Nora al teatro sul mare, provoca sempre una certa vibrazione. Arrivo in ritardo, sono praticamente l’ultimo (strano non succede mai), qualcuno mi dice che hanno già chiamato i cinque minuti, guadagno l’entrata a grandi falcate e appena entri il colpo d’occhio è notevole: sei spalle al mare di fianco al palco, di fronte a te tutto il pubblico già seduto in attesa con le pietre del teatro tutte intorno, che al passare del tempo sono sicuramente più abituate. Il teatro è piccolo, l’uditorio raccolto, sembra più una festa con gli invitati che non un evento solenne nel tempio sacro della recitazione, annuso l’aria e la patina di spocchiosa formalità che spesso accompagna questo genere di eventi, non si avverte.
Pochi secondi per riconoscere e salutare le facce amiche, prendere posto e il festival comincia davvero.
C’è ancora molta luce, e comincia ad alzarsi piano una brezza salvifica mentre la temperatura scende di qualche grado.

Entrano in scena Piergiorgio Odifreddi (non so perché lo facevo più alto visto sullo schermo, anzi no, più “grande”), l’attrice Irene Ivaldi, una valchiria fasciata di nero che solo col primo sorriso e due passi per raggiungere la sedia ha provocato attimi di mancamento ai nove decimi del pubblico maschile (caro cosa c’è? ma no niente, il caldo…); con loro una bella bambina nel suo elegante vestitino bianco, che solo più tardi scoprirò essere sua figlia di nome Elena e di soli nove anni.
Alta pure lei, e brava attrice pure lei, la genetica non è un’opinione evidentemente.
Lo spettacolo si intitola “Le relazioni pericolose fra matematica e letteratura”, ovvero il tentativo di mettere insieme il razionale e l’emotivo nel testo di tre giganti della letteratura attraverso tre personaggi femminili: Alice (nel paese delle meraviglie) di Lewis Carroll, Anna Karenina di Tolstoj e il monologo di Molly Bloom dall’ Ulisse di Joyce.
Lo ammetto: avendo con la matematica un rapporto conflittuale fin dai tempi del liceo (quando davanti a un compito io e lei ci si diceva “ok io non piaccio a te e tu non piaci a me, facciamolo e poi ognuno per la sua strada”), all’idea di sentir parlare di integrali, derivate, moti inerziali e sistemi vari, forzati non so come alla letteratura, avevo il timore di uno spettacolo cattedratico pieno zeppo di tutte quelle stramberie scientifiche con cui si compiacciono solo i professori, i loro studenti ruffiani, e Hal 9000, il supercomputer diabolico di Odissea nello Spazio. Insomma una pesantezza galattica.
E invece no, Odifreddi è frizzante e molto meno altezzoso di quanto possa apparire a volte in tv, il piglio del prof. c’è tutto ma è molto bravo a stemperare la fredda razionalità della materia con ampie manciate di ironia ed empatia con lo spettatore impedendogli di sentirsi anche solo per un attimo dentro un’aula. È pure simpatico…vedi, quindi anche i matematici hanno un cuore.
La prima ad affrontare il testo è Elena, la bambina che fa Alice. Non è una bambina che legge un foglio. Recita. E pure bene. Con pause, intonazioni, ritmo, intensità. Io a 9 anni mi nascondevo sotto il tavolo all’idea di recitare la poesia di Natale con tutti gli occhi addosso. Vabbè.
Poi arriva il turno di Irene Ivaldi, e solo allora si capisce davvero come sia stato pensato lo spettacolo: legge e interpreta il testo davanti a un leggìo, ma è a lei che è affidato il compito di “far vedere”, di prendere per mano lo spettatore e portarlo DENTRO il testo attraverso la sola voce recitante. Impresa non facile avendo come contraltare Odifreddi che comunica in maniera diametralmente opposta.
Prima col dialogo fra Alice e “Unto Dunto”, ma soprattutto con Anna Karenina quando rivede suo figlio Sereza uno dei momenti più toccanti del romanzo, e il monologo finale di Molly Bloom che da corpo al flusso di coscienza di una donna stesa in un letto, la Ivaldi riesce a creare quel ponte emotivo col pubblico, interpretando e trasmettendo l’ironia strampalata di una favola, l’amore e la disperazione di una madre, i pensieri “senza punteggiatura” le bugie e l’erotismo di una donna che aspetta a letto il suo uomo. Uno scambio empatico col pubblico che poi è la magia che si vuole vivere a teatro, e se non avviene significa che qualcosa è andato storto.
Lo spettacolo va avanti per due ore buone, mentre il crepuscolo si trasforma in notte, la torre sparisce nel buio dietro il palco e rimangono solo le luci della scena. E le zanzare armate di coltello e forchetta. Alla più educata ho visto anche il tovagliolo.
La notte dei poeti è appena cominciata, ed è il caso di dire “buona la prima”. Almeno per me.

Nicola con l’attrice Irene Ivaldi e la figlia Elena Malosti