Qualcosa di per niente scontato…

 

Nicola Girau 

 

Sono andato a vedere questo spettacolo tenendomi volutamente ignorante.

Le uniche cose che sapevo erano che si trattasse di un monologo, forse una lettura, tratta da un testo di Will Eno, celebre drammaturgo americano del quale non ho mai letto, visto o sentito mezza parola, e che a leggere e/o recitare sarebbe stato Francesco Mandelli altrimenti detto “quello di Mtv”, il “Nongiovane” , ma anche “quello dei soliti idioti”.

Insomma uno che tendenzialmente fa ridere il grande pubblico, forse a me un po’ meno probabilmente per motivi generazionali, o perché non mi è mai stato troppo simpatico. “Vediamo che altro sa fare” mi sono detto.

Sul palco una piccola scrivania, Mandelli sale quasi per caso senza alcuna prosopopea, porta con se una borsa e un bastone, o forse il bastone stava già lì. Si siede. Guarda il pubblico, ma non il pubblico indistintamente, lo guarda proprio negli occhi e con aria beffarda e malinconica allo stesso tempo prorompe:

“Io non sono di qui”. E’ decisamente un bell’inizio.

Per circa un’ora e mezza Mandelli cerca di far suo il testo di Will Eno, tutto incentrato sul senso di estraneità di un essere umano, sulla non appartenenza, sui ricordi come unica impronta identitaria possibile che però si sgretola non appena una parola assume un significato diverso a seconda di dove sei, con chi sei e in quale contesto ti trovi.

Sulla comunicazione quindi, e sulla solitudine generata dal tentativo di inseguirla.

Non è un testo semplice, non lascia scampo e seguirlo è faticoso, non ci si può permettere di distogliere l’attenzione nemmeno un secondo, se non ci si vuol perdere in un fiume in piena che mescola riflessioni profonde al totale nonsense con la velocità del pensiero.

E nonostante (ma forse soprattutto per ) questo, nel tortuoso percorso del fiume ci hanno messo pure le rapide: momenti in cui lo scorrere delle parole è bruscamente interrotto da un artifizio scenico che inchioda lo spettatore, lo sveglia di soprassalto come un bagno in acqua gelata, come uno schiaffo all’improvviso, come a dire “Oh! Sei/siete qui? Perchè IO sono qui”. Che si tratti di una smorfia, un bastone picchiato contro il tavolo o un dolore alla mascella lamentato e dilatato fin quasi a fartelo sentire, l’obbiettivo è sempre uno:

mettere lo spettatore sullo stesso piano di chi parla sul palco, esporlo anche solo per un momento a una “pericolosa” identificazione col personaggio, eliminare la distanza del palco per un attimo per far provare la stessa vertigine. Basta anche un “salute” se qualcuno starnutisce dal pubblico.

Ed è in questo che Mandelli, a mio avviso si rivela davvero bravo.

Credo che qualsiasi attore abbia nella sua valigia un repertorio di “controllo” per situazioni di questo genere, strumenti di mestiere per incursioni create ad arte. Nel suo caso però, arrivano come genuine in mezzo a una lettura un po’ monocorde e centrano il bersaglio ogni volta.

Immergersi nel testo di Will Eno significa identificarsi con un personaggio che si sente un alieno, che te lo sbatte in faccia mentre ti supplica con l’ironia e che brama la tua attenzione ma un secondo dopo la sta demolendo con una battuta o una riflessione sulla morte.

Francesco Mandelli paga sicuramente l’etichetta di personaggio comico, in uno spettacolo in cui si fondono dramma e sarcasmo, ironia e disperazione, non è raro sentire una risata di gusto mentre a parlare del funerale della madre c’è quella faccia lì, quella che dovrebbe far ridere.

Ma in uno spettacolo come questo, che parla di un alieno e del sentirsi alieni, (per di più impreziosito dall’eclissi più lunga del secolo subito retrostante il palco) forse l’ambiguità, il non capire bene, l’inquietudine del dove sei, dove ti trovi o come dovresti reagire, sono paradossalmente i pilastri più solidi su cui poggia.

Più tardi nel backstage ho avuto l’occasione di chiedere a Mandelli una cosa “personale”: in quella specie di imbarazzo, in quel bilico emotivo col pubblico, mi sono chiesto lui personalmente come si sentiva, pensando a quanto possa essere difficile giocare sulla risposta non scontata del pubblico.

Mi ha risposto che è vero, che non è per niente facile, che ha voluto misurarsi proprio con questo, pur avendo come collaudata la sicurezza del risultato comico, e che in realtà si stava cagando sotto (testuale) anche perché hanno fatto solo un paio di giorni di prove.

E questo me l’ha reso finalmente, e veramente simpatico, perché ha lasciato intravedere la persona e non il personaggio, e non è per niente scontato di questi tempi.