Zatò e Ychì

Zatò e Ychì
concept Senio Giovanni Barbaro Dattena
coreografia e danza Valeria Russo e Lucas Monteiro Delfino
percussioni Marco Caredda

realizzazione costumi Stefania Dessi
e le allieve dell’Istituto per i Servizi Sociali S.Pertini (Cagliari)
e del Liceo Artistico G.Brotzu (Quartu Sant’Elena)

regia e ideazione costumi Senio Giovanni Barbaro Dattena

produzione ASMED / Balletto di Sardegna
con il contributo del MiC/ Ministero della Cultura e della Regione Autonoma della Sardegna

Zatoychi, Zatò per gli amici – o per i più acerrimi nemici che non vogliono perder tempo a pronunciare per intero il suo nome – è un invincibile spadaccino cieco della tradizione giapponese. A lui in Giappone hanno dedicato numerose serie tv e di recente un bel film con contenuti ematici molto importanti, come pure quelli ironici. A lui ci siamo ispirati in questa nostra breve performance. Chi, conoscendolo, volesse individuarne nel nostro lavoro le tracce, le ritroverà nell’ironia che a tratti lo permea, oltreché in un oriente mitico che ci siamo divertiti a reinventare.

Per noi Zatoychi divide in due la sua anima, scindendosi in forma maschile e femminile, e diventa Zatò & Ychì, due samurai che si scontrano in tre cruentissimi combattimenti, sostenuti e incalzati nel loro serrato confronto da clangori metallici e dal ritmo profondo delle percussioni.

Zatò & Ychì” è una performance emozionante e senza respiro.

I costumi indossati dai due danzatori sono un elemento essenziale. Trapunti di miriadi di campanelli, sono sculture sonore in movimento che ricordano alcuni felici esperimenti teatrali della Bauhaus. Incorporano oggetti metallici che al momento opportuno vengono scossi e percossi: sono infatti i costumi stessi a creare una colonna sonora e a dettare in parte, col loro peso e volume, il movimento dei danzatori. Inizialmente i duellanti devono affrontare non solo la violenza dello scontro, bensì anche il peso delle proprie armature sonore; il terzo combattimento, in cui i samurai indossano degli Hakama – indumento alle cui pieghe vengono fatti corrispondere i precetti del Bushidō, il codice di condotta morale del guerriero giapponese – è invece rarefatto e nudo.

La performance procede secondo una sorta di sottrazione, la tensione permane tuttavia inalterata e intensa. Un oggetto completa l’armamentario sonoro di questa pièce: un bidone di latta, elemento scenico da percuotere come un tamburo.

Chi siano costoro, e cosa rappresentino, non è dato sapere. Appartengono ad una civiltà umana dimenticata da milioni di anni? Sono i superstiti di un futuro postatomico? A riguardo della loro identità siamo liberi di immaginare altro e molto altro ancora. Con certezza, sappiamo soltanto del loro vivere un’incessante metamorfosi e un continuo liberarsi da strutture troppo rigide. Fino alla fine.