Archivi categoria: Teatro Romano di Nora

Parole (In)cantate

Parole (In)cantate
concerto per un’attrice al microfono

Elena Pau – voce
Alessandro Nidi – pianoforte e arrangiamenti musicali

testi (tra gli altri) di Dario Fo, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Goffredo Parise,
Roberto Roversi, Pier Paolo Pasolini, Ercole Patti

musiche di Fiorenzo Carpi, Gino Marinuzzi, Gian Franco Maselli, Gino Negri

direzione artistica Marco Parodi
produzione La Fabbrica Illuminata

Parole (In)cantate – concerto per un’attrice al microfono” è un viaggio nella temperie culturale dell’Italia del Novecento, attraverso la riscoperta delle canzoni d’autore firmate da intellettuali e poeti, un progetto de La Fabbrica Illuminata con la direzione artistica di Marco Parodi.

Nel maggio 2016 furono il concerto e il cd “Giro a vuoto – Gli stornelli intellettuali per Laura Betti”. Una tappa importante nella ricerca dell’attrice e cantante Elena Pau sul teatro canzone. Accompagnata al pianoforte da Alessandro Nidi, con la regia di Marco Parodi, ha proposto il repertorio di canzoni scritte per l’attrice emiliana – amica e musa di Pier Paolo Pasolini, scomparsa nel 2004 – da scrittori e poeti come Flaiano, Moravia, lo stesso Pasolini, Arbasino, Soldati, Fortini, Parise, Cederna, Bassani, e musicate da autori come Carpi, Piccioni, Umiliani.

Nel titolo è stato ripreso quello dello spettacolo di cabaret letterario della Betti del 1960 (riproposto in tre edizioni fino al 1964 con la regia di Filippo Crivelli), dove l’attrice interpretava brani musicali ispirati ai testi dei suoi celebri amici letterati. “Giro a vuoto” è approdato con successo a Casalecchio di Reno (BO) nel Teatro Comunale Laura Betti e al Teatro Gerolamo di Milano.

Ciò che è accaduto dopo il maggio 2017 lo racconta lo stesso Nidi, autore delle musiche di scena per diversi teatri italiani e collaboratore di artisti del calibro di Maddalena Crippa, Moni Ovadia, Adriana Asti, Laura Marinoni: «Passano dei mesi ed Elena e Marco mi sorprendono con una proposta inaspettata. Vorrebbero riprendere le canzoni della Betti, aggiungere altri brani scritti da poeti e intellettuali, affidarli alla mia direzione, invitando a suonare con noi l’ottimo contrabbassista Alessandro Atzori e due mostri sacri della musica italiana: Antonio Marangolo ed Ellade Bandini… E così siamo qui, per proporre nuovi testi e nuove musiche. Questa volta con attenzione particolare alle armonie, melodie e ritmi…».

Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo.

Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo

di Sergio Atzeni
edizioni Il Maestrale

I testi poetici di Sergio Atzeni sono stati ripubblicati in edizione critica
a cura di Giancarlo Porcu con il titolo “Versus” (Il Maestrale)

letture di Lea Karen Gramsdorff
progetto sonoro di Simone Dulcis

«Due colori esistono al mondo – Il verde è il secondo»… dice con piglio deciso Sergio Atzeni; frase che dà il titolo alla sua raccolta di poesie, edita postuma da Il Maestrale.

Poesia, la sua, assai originale, fuori dagli itinerari battuti della poesia italiana del Novecento; di taglio lirico narrativo-teatrale; sincopata e dissonante eppure ancor fedele all’endecasillabo e al settenario ben formati. Sarebbe fin troppo facile ravvisare in questi versi la lezione dei poeti americani della beat generation, gli influssi del jazz, delle letterature creole. Ma l’elenco dovrà comprendere poi gli autori più meditativi della Mitteleuropa, i poeti romantici e i fratelli minori decadenti, il grande e solitario Withman. Insomma tutte le letture di uno spirito bennato, sufficientemente anarchico e inquieto.

La sua elocuzione, tuttavia, è legata alla tradizione italiana (colta e popolare) più di quanto non appaia a prima vista. Alla tradizione magari goliardica e ceccoangioliana; dentro la quale potresti anche udire, se resti in religioso ascolto, il singhiozzo di una dissacrata primavera polizianesca, scandalosamente desiderosa di “albe africane”, delle albe assolute dei mistici e dei poveri. Una poesia che ricorda in qualche modo le epoche anticlassiche e plebee; oppure l’Angst in salsa mediterranea.

E che se per un verso può richiamare atmosfere underground, dure e contestatarie: da rock, da rap, da slang metropolitano e quant’altro; d’altro canto annuncia invece uno spirito terribilmente intimista e verginale, ansioso di vita nuova, assetato di diversa più umana giovinezza. Spaventato di purità. […]

Leandro Muoni, dalla Introduzione

Lea Karen Gramsdorff
Di origini tedesche, Lea Karen Gramsdorff nasce nel 1974 Lecco, in Italia. Nel 1996 si diploma come attrice presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e debutta sul grande schermo nel film “ La Cena”, di Ettore Scola.
Seguono molte esperienze televisive e cinematografiche a livello nazionale ed internazionale. Nel 2001 si trasferisce a Cagliari, dove al lavoro di attrice affianca quello di pedagoga teatrale e regista.
Sempre a Cagliari inizia la sua carriera di artista visiva. In duo con l’artista Simone Dulcis (Duo Dulcis/Gramsdorff) realizza progetti installativi site specific.

Simone Dulcis
Simone Dulcis (Milano, 1971), vive e lavora a Cagliari. Dopo la maturità linguistico sperimentale conseguita nel 1989 intensifica gli studi sull’arte e la pittura. Parallelamente frequenta seminari di formazione teatrale approfondendo lo studio sullo spazio scenico. Nel 1998 presenta la prima personale presso la galleria la Bacheca di Cagliari.
Cofondatore della compagnia d’arte Circo Calumèt. Dal 2010 frequenta laboratori di incisione. Collabora come scenografo e sound-designer a progetti di teatro contemporaneo.
In duo con l’artista Lea Gramsdorff (Duo Dulcis/Gramsdorff) realizza progetti installativi site specific.

Toni Servillo legge Grazia Deledda

Toni Servillo legge Grazia Deledda

con Toni Servillo

PRIMA NAZIONALE

Un omaggio a Grazia Deledda, scrittrice nuorese di fama internazionale e vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura, attraverso una selezione di testi in versi e in prosa, nell’interpretazione di uno dei più grandi attori italiani.

Toni Servillo, interprete raffinato e versatile, propone alcune novelle ispirate alla cultura e alle tradizioni della Sardegna, tra storie fantastiche e tranches de vie, sullo sfondo di boschi e rocce, tra il profumo del lentisco. Tra le righe affiorano figure emblematiche di contadini e pastori, accorte massaie e fanciulle sognatrici, sacerdoti e banditi, vecchi e ragazzi, in uno scenario idilliaco e quasi fiabesco: donne e uomini vivono in armonia con la natura, ne conoscono i segreti, il ciclo delle stagioni, i doni preziosi ma anche la durezza.

Una antologia significativa da cui emergono il talento e la forza espressiva dell’autrice, la sua capacità di evocare o forse “inventare” un’Isola affascinante e misteriosa, di mostrarne i molteplici volti, da quello più arcaico e “selvaggio” a quello più sofisticato delle città, di riscoprire miti e leggende e inventare trame complesse e avvincenti, mettendo in luce il conflitto tra il retaggio di una civiltà antica e la modernità, tra passione e ragione, regole sociali e desiderio di libertà.

Un affresco dell’Isola, teatro di amori e vendette, terra di tesori nascosti, di riti e feste, di antichi saperi.

Spazio anche alle poesie, che rivelano un lato più intimistico e lirico di Grazia Deledda, il suo legame con le radici e insieme la sua anima di sarda e italiana, donna del suo tempo, consapevole del passato ma con lo sguardo rivolto al futuro.

Alice canta Battiato

Alice canta Battiato
Alice – voce
Carlo Guaitoli – pianoforte

Alice, nome d’arte di Carla Bissi, è una delle cantautrici italiane più note ed amate dal grande pubblico. La canzone Per Elisa scritta insieme a Franco Battiato e al violinista compositore Giusto Pio, con cui vinse il Festival di Sanremo nel 1981 si impose nelle hit parade nazionale e internazionale. Il sodalizio artistico con Battiato ha caratterizzato una parte importante del percorso musical e e professionale di Alice che oggi presenta il nuovo live tour Alice canta Battiato. In questo viaggio è accompagnata al pianoforte dal maestro Carlo Guaitoli, da tanti anni collaboratore di Battiato in qualità di pianista e direttore d’orchestra.

Alice riesce ad omaggiare l’artista siciliano con autenticità ed eleganza, sia perché sua amica e collaboratrice dagli esordi, ma soprattutto per quell affinità artistica che da sempre li lega e che la rendono un’interprete unica della musica di Franco Battiato.

«Il compositore e autore che sento più vicino e affine, non solo musicalmente, è sicuramente Franco Battiato e da molto tempo, nei vari progetti live e discografici, canto le sue canzoni quelle a cui sento di poter aderire pienamente. Già nel 1985 gli ho reso omaggio con l’album Gioielli rubati e questo programma in qualche modo ne è il naturale proseguimento. Una versione acustica dei brani con i bellissimi arrangiamenti e rielaborazioni per pianoforte del pianista Maestro Carlo Guaitoli, con cui condivido il programma e che sar à con me sul palco, già stretto collaboratore di Franco Battiato da alcuni decenni anche come direttore d’orchestra.

Interpreto canzoni che appartengono ai suo i diversi periodi compositivi, alcune mai cantate prima d’ora e altre che abbiamo cantato insieme per la prima volta nel 2016, nel Tour Battiato e Alice. E poi non ho potuto fare a meno di una breve incursione anche nelle sue cosiddette canzoni mistiche, senza dimenticare quelle nate dalle nostre numerose collaborazioni a partire dal 1980 e che abbiamo scritto insieme come Per Elisa, i nostri duetti oserei dire storici e anche i brani che Franco ha scritto più recentemente per me, Eri con me e Veleni, inclusi rispettivamente nei miei ultimi album Samsara e Weekend.

Ora più che mai è mio profondo desiderio essere semplice strumento insieme a Carlo Guaitoli, per quel che possiamo cogliere e accogliere, di ciò che Franco Battiato ha trasmesso attraverso la sua musica e i suoi testi, in questo suo straordinario passaggio sulla Terra.»

Alice

Interno Familiare

Interno Familiare

da un racconto di Anna Maria Ortese
tratto da “Il mare non bagna Napoli”

con Iaia Forte

e con Javier Girotto al sax

“Interno familiare” è un racconto tratto dalla raccolta “Il mare non bagna Napoli”, capolavoro della Ortese.

E’ la vigilia di Natale. In una grande casa nel quartiere di Monte di Dio, Anastasia Finizio, una adulta zitella, viene a sapere che è tornato in città, dopo anni di assenza, un giovane di cui era stata innamorata.

Questa notizia le risveglia i sogni sopiti, le fa immaginare la possibilità di una “vita nuova” aprendola ad un amore che però si rivelerà illusorio. Rinunciandovi rinuncerà a se stessa, e la sua vita ritornerà ad essere scandita solo da “casa e lavoro, lavoro e casa”.

Intorno a lei una famiglia atroce, in cui gli egoismi e le invidie condannano i personaggi ad una solitudine amara ed incosciente.

E’ un nero presepe, in cui la Ortese fa muovere con prepotente violenza, verità ma anche con passione queste icone di una falsa felicità domestica, microcosmo e metafora di Napoli stessa.

Supplici

Supplici
di Euripide
traduzione di Maddalena Giovannelli e Nicola Fogazzi
drammaturgia a cura di Gabriele Scotti

con Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Debora Zuin

cori Francesca Della Monica

scene di Maria Spazzi
costumi di Katarina Vukcevic
luci di Alessandro Verazzi
musiche e sound design di Lorenzo Crippa

regia Serena Sinigaglia

produzione ATIR – Nidodiragno/CMC – Fondazione Teatro Due / Parma
con il sostegno di NEXT ed. 2021/2022 Progetto di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo
in collaborazione con Cinema Teatro Agorà, Cernusco sul Naviglio

SINOSSI

Nella tragedia Le Supplici, scritta da Euripide e rappresentata per la prima volta tra il 423 e il 421 a.C., un gruppo di donne di Argo, madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe (quello raccontato da Eschilo nei Sette contro Tebe), si riunisce presso l’altare di Demetra ad Eleusi per supplicare gli ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai figli, poichè i tebani negano la restituzione dei cadaveri. Il re ateniese Teseo, grazie all’intercessione della madre Etra, decide di aiutarle. Quando un araldo tebano giunge per intimare a Teseo di non intromettersi negli affari di Tebe, invano Teseo tenta di indurre l’araldo all’osservanza della propria legge che impone di onorare i morti, ingaggiando con lui un dialogo nel quale il re difende i valori di democrazia, libertà, uguaglianza di Atene, contrapposti alla tirannide di Tebe.

L’accordo non viene trovato e la guerra tra le due città è inevitabile, e viene vinta da Atene, con la conseguente restituzione dei cadaveri. Il re di Argo Adrasto, che accompagna le madri, si incarica di celebrare i caduti con un discorso. Il corteo con i corpi dei capi argivi caduti entra così in scena; Adrasto recita l’elogio di ciascuno di essi, quindi si procede al rito funebre. Per volontà di Teseo il rogo di Capaneo è allestito separatamente dagli altri, al fine di onorare diversamente l’eroe colpito dal fulgore di Zeus; Evadne, moglie di Capaneo, non regge alla commozione e, per riunirsi al marito, si getta sul rogo in fiamme. Mentre i figli dei caduti sfilano con le ceneri dei propri cari, finalmente sepolti, ex machina compare Atena, che fa impegnare con un giuramento solenne Teseo e Adrasto a un’eterna alleanza fra Atene e Argo.

In questo adattamento, tradotto ad hoc da Maddalena Giovannelli, è prevista una riduzione a 7 attrici che interpreteranno le madri, il coro e i vari personaggi.

NOTE DI REGIA
«Amo i classici da sempre: con essi imparo cos’è il teatro e cos’è l’essere umano. Con i contemporanei imparo a conoscere la realtà presente e l’epoca in cui vivo. Insomma classico e contemporaneo si riguardano, si specchiano l’un con l’altro, si nutrono a vicenda. Come tradizione e innovazione. Da anni voglio affrontare “Le supplici” di Euripide: adesso è arrivato il momento di farlo.

Il crollo dei valori dell’umanesimo, il prevalere della forza, dell’ambiguità più feroce, il trionfo del narcisismo e della pochezza emergono da questo testo per ritrovarsi intatti tra le pieghe dei giorni stranianti e strazianti che stiamo vivendo.

È incredibile quanto una scrittura che risale al 423 a.C. risuoni chiara e forte alle orecchie di un cittadino del terzo millennio.

La democrazia ateniese fa acqua da ogni parte, contraddice i suoi stessi valori, è populismo che finge di affermare i sacri valori della libertà. È manipolazione a tratti persino grossolana, si chiama democrazia ma assomiglia troppo ad un’oligarchia. Sembra lo strumento migliore per scansare le responsabilità e restare ad ogni costo sempre e comunque impuniti. È la legge del più forte, anche se apparentemente garantisce spazio e parola a tutti.

Le supplici sono le sette madri degli eroi uccisi presso le porte di Tebe. Giungono ad Atene per implorare Teseo: recuperi i cadaveri dei vinti, dei figli uccisi, a costo di fare guerra a Tebe che non li vuole restituire.

Tebe sotto la tirannide di Creonte, Atene sotto la democrazia di Teseo. Ancora una volta una stranezza: può essere la democrazia in mano ad una persona sola? Non è una contraddizione in termini?

Il discorso tanto caro a Euripide, che parla di pacifismo e amore tra i popoli, di dolore e di pietà di queste madri che hanno perso i figli, di un intero paese che ha perso i propri eroi, si intreccia con un sottile ragionamento politico, capace di rendere questa tragedia un unicum per l’antichità.

Sette madri, sette attrici: Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan, Deborah Zuin.

Queste attrici straordinarie, a cui mi lega un lungo sodalizio artistico, interpreteranno dunque il coro delle supplici e saranno anche, di volta in volta, i diversi personaggi della tragedia: Teseo, l’araldo tebano, Etra, Adrasto, il messaggero, il coro dei bimbi, Atena.

Un rito funebre che si trasforma in un rito di memoria attiva, un andare a scandagliare le ragioni politiche che hanno portato alla morte i figli e più in generale alla distruzione dei valori dell’umanesimo. Che siano le donne a compiere questo viaggio di ricostruzione e conoscenza mi è parso necessario e naturale».

Serena Sinigaglia

Un’ultima cosa – cinque invettive, sette donne e un funerale

Un’ultima cosa – cinque invettive, sette donne e un funerale

di e con Concita De Gregorio

musiche dal vivo Erica Mou

regia Teresa Ludovico

produzione Teatri di Bari | Rodrigo srls

Ah. Vuoi scrivere la mia orazione funebre.
Ma io non sono morta. Accidenti.
Non so se ti posso aiutare.
Vorrei. Fammi provare. Vorrei.
Non ci avevo mai pensato. È vero questo che dici, sì sì.
È giusto: dovremmo essere noi a parlare di noi stessi, al nostro funerale.
Sono così scialbi i discorsi d’occasione dei parenti.
A parte i figli e i nipoti, certo
che a volte dicono cose minime
e vere, a volte sorridono persino. Io vorrei che tutti sorridessero
ma di figli non ne ho. Perciò dubito
temo la cerimonia solenne il ricordo accorato.
Che spreco.
Che occasione mancata.
Sarebbe bello esserci da vivi – hai ragione.
Dare a tutti il benvenuto,
approfittare per dire un’ultima cosa.

L’alba si presentò sbracciata e impudica;
io la cinsi di alloro da poeta: ella si risvegliò lattante, latitante.
(Impromptu di Amelia Rosselli)

Dora, Amelia, Carol, Maria, Lisetta, cinque antenate. Concita, Erica, due presenze, due corpi, due donne che con le loro voci ricamano lo spazio, un piede nell’infanzia, in quel tutto grande e stupefacente, e un piede nella vecchiaia, dove tutto sembra fatto di vento. Creature forti, passionali, selvagge, fragili, determinate, rivoluzionarie: donne. Artiste che hanno messo a fuoco ogni frammento della loro vita, del loro tempo, anime in cammino, finestre luminose. L’ascolto e il silenzio sono stati i miei complici nella creazione di una messa in scena che ha i colori della meditazione. Il femminile e la sua potenza di fuoco. La sua bellezza, la sua forza, la sua luce.

Cinque donne al centro della scena – Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Maria Lai e Lisetta Carmi – che prendono parola per l’ultima volta. E dicono di sé, senza diritto di replica. Entrano in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta da dire un’ultima cosa”

La scintilla del progetto teatrale che tiene insieme Concita De Gregorio, scrittrice e giornalista di successo, Erica Mou, una cantautrice trentenne, sempre più apprezzata nella scena musicale italiana, è il libro di Concita De Gregorio “Così è la vita – imparare a dirsi addio” (Einaudi 2012), scritto dopo la scomparsa di suo padre.

Mi sono appassionata alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento. Donne spesso rimaste in ombra o all’ombra di qualcuno. Ho studiato il loro lessico sino a “sentire” la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlare con loro. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente, non conosco altro modo. La galleria delle orazioni si apre con quella di Dora Maar, la donna che piange dei quadri di Picasso, che mi accompagna sin da bambina. Poi sono venute Amelia Rosselli, poeta della mia adolescenza. Carol Rama e la sua ossessione artistica per il sesso motore di vita, l’anticonformista che mi ha accompagnata nella giovane età adulta. Maria Lai che ha ricamato libri e tenuto insieme, coi suoi fili dorati, persone, paesi e montagne: la maturità. Infine, Lisetta Carmi, che – unica vivente – mi ha aperto le porte di casa sua e reso privilegio della sua compagnia, delle sue parole, della sua saggezza. A queste cinque donne è dedicata un’orazione funebre, immaginando che siano loro stesse a parlare ai propri funerali per raccontare chi sono. Invettive, perché le parole e le intenzioni sono veementi e risarcitorie. Ho usato per comporre i testi soltanto le loro parole – parole che hanno effettivamente pronunciato o scritto in vita – e in qualche raro caso parole che altri, chi le ha amate o odiate, hanno scritto di loro. (Concita De Gregorio)

Penso che tornare all’origine sia molto diverso dal tornare indietro e che al contrario abbia a che fare con la tessitura del futuro. Questo spettacolo sbroglia la vita dal nodo della morte. Le vite, anzi, di cinque incredibili donne del secolo scorso ma persino le nostre, qui di fronte a voi sul palco. Per interpretarlo sono stata costretta a ritornare all’origine della mia musica, a utilizzare la voce nuda, lo strumento che mi porto sempre addosso ma con cui così raramente resto sola. E nella scrittura delle canzoni ho dovuto guardare alla lingua della terra che mi ha generata, alle sintetiche parole del dialetto che ho parlato poco ma che ho sempre capito alla perfezione. I movimenti dell’esistenza non sono lineari, nient’affatto, siamo noi che abbiamo deciso di farci cullare dall’idea che il tempo sia una retta che non torna mai all’origine.Questa è una veglia funebre strana, piena di vita, di specchi scoperti e senza punti dopo la fine. (Erica Mou)

Intrecciare parole, destini, immagini, suoni, tessere fili di luce, accogliere echi di voci lontane. Mettere in relazione sospiri, grida soffocate, parole lanciate, scagliate, sussurrate, insanguinate, parole vomitate, taglienti, parole che fanno bene, che curano, che accarezzano, parole che ti prendono per mano e ti sospendono. (Teresa Ludovico)

Tangos por Astor y Amelita

Tangos por Astor y Amelita

Franca Masu – voce

Hernàn Fassa – pianoforte

Fausto Beccalossi – accordéon

Franca Masu è conosciuta e apprezzata come un’artista raffinata dal temperamento passionale. Versatile interprete e curiosa ricercatrice musicale, è riuscita nel tempo a fondere un sapiente intreccio tra poesia, note ed emozioni. Oggi da quel suo angolo di Mare Nostrum, Franca Masu torna al Tango con solido temperamento artistico e maturità vocale.

Entrerà profondamente in repertorio non suo, lontano da lei migliaia e migliaia di chilometri.

È l’universo Piazzolla quello che l’artista di Alghero ha scelto di attraversare. E lo fa navigando col suo canto fino a Buenos Aires, senza strappi, bensì con una continuità che va a rafforzare la sua anima latina, mediterranea e ispanica.

L’artista con profonda consapevolezza sceglie alcune tra le più straordinarie composizioni scritte per Amelita Barbar, compagna di tangos e di vita dell’immenso Astor Piazzolla.

Ogni passaggio vpocale, ogni soluzione armonica rende unico questo repertorio di altissima levatura per un live emozionante e molto ben orchestrato dai complici e compagni di viaggio, Hernàn Fassa, profondo pianista di Buenos Aires e Fausto Beccalossi, abile improvvisatore e anima porteña.

Saranno loro che avvolgeranno e faranno volare la voce di questa donna così ricca di fantasia nei giochi vocali e di carisma interpretativo.

Agamennone

Agamennone

di Ghiannis Ritsos e Eschilo

con Massimo Venturiello

e con Carlotta Procino, Carolina Sisto, Carmine Cacciola, Davide Montalbano,
Francesco Nuzzi, Giacomo Rasetti

produzione Officina Teatrale

Dopo i dieci anni della guerra di Troia, Agamennone torna a Micene dove trova sua moglie Clitennestra che intanto ha intessuto una relazione con Egisto e nutre un odio profondo nei suoi confronti per aver sacrificato sua figlia Ifigenia, tanto da predisporne l’assassinio.

Partendo da questi fatti mitologici narrati da Eschilo, Ritsos, straordinario drammaturgo e poeta ellenico del secolo scorso, torturato e perseguitato per le sue idee progressiste e rivoluzionarie, compie un lavoro di modernizzazione e umanizzazione mettendo in evidenza nuove prospettive nelle azioni dei protagonisti, portando alla luce elementi sconosciti dei loro caratteri e disvelando la loro natura universale che non può prescindere da un discorso di protesta politica. Agamennone, nostro contemporaneo, la cui ben nota arroganza ha ora ceduto il passo a una dolente umanità, riflette sulle conseguenze della guerra, sull’ineluttabilità del destino, sul senso della Storia.

Ghiannis Ritsos, straordinario drammaturgo e poeta ellenico novecentesco, riprende le vicende mitologiche di Agamennone narrate da Eschilo: il suo ritorno a Micene, dopo la guerra di Troia, e la vendetta pianificata da sua moglie Clitennestra con l’amante Egisto.

L’Agamennone di Ritsos rinnova i protagonisti del mito, compiendo un processo di modernizzazione volto a esaltare la loro natura universale: Agamennone, in quanto essere umano, si dedica a riflessioni sull’esistenza.

Alfabeto delle emozioni

Alfabeto delle emozioni

di e con Stefano Massini

produzione Savà srl

Noi siamo quello che proviamo E raccontarci agli altri significa raccontare le nostre emozioni Ma come farlo, in un momento che sembra confondere tutto con tutto, perdendo i confini fra gli stati d’animo?

Ci viene detto che siamo analfabeti emotivi, e proprio da qui parte Stefano Massini, lo scrittore così amato per i suoi racconti in tv del giovedì sera a Piazzapulita, per un viaggio profondissimo e ironico al tempo stesso nel labirinto del nostro sentire e sentirci. In un immaginario alfabeto in cui ogni lettera è un’emozione (P come Paura, F come Felicità, M come Malinconia) Massini trascina il pubblico in un susseguirsi di storie e di esempi irresistibili, con l’obiettivo unico di chiamare per nome ciò che ci muove da dentro Scorrono visi, ritratti, nomi, situazioni.

Si va da Arthur Conan Doyle che fa l’esperimento di sondare i suoi amici sul tema del dubbio al grande Chagall che non riesce a reagire alla scomparsa di Bella Rosenfeld, da Al Capone che tremava alla vista di una siringa alla moglie di Giosuè Carducci costretta a pregare i compagni del poeta di farlo vincere alle carte.

Ad andare in scena sono la forza e la fragilità dell’essere umano, dipinta con l’estro e il divertimento di un appassionato narratore, definito da Repubblica “il più popolare raccontastorie del momento”.